Rischia il carcere chi crea mail false

La Cassazione condanna un 37enne fiorentino: aveva creato un indirizzo di posta spacciandosi per un'amica.

FIRENZE
La Cassazione fissa i paletti per regolare il mondo di internet: non ci si può spacciare, creando una mail di posta elettronica falsa, per un’altra persona magari di sesso diverso, ingannando gli utenti della rete: si rischia fino a un anno di reclusione.

È quanto affermato dalla Suprema Corte che, con la sentenza 46674 della sentenza di oggi ha confermato la condanna per sostituzione di persona nei confronti di un 37enne fiorentino che aveva creato un indirizzo di posta elettronica spacciandosi per una sua amica e intrattenendo rapporti con gli utenti della rete.

In particolare i giudici della quinta sezione penale nel confermare la violazione dell’articolo 494 del Codice penale hanno precisato che «oggetto della tutela è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome». Così ragionando il collegio di legittimità ha ravvisato che in questo caso concreto si configurasse il reato.

A nulla è valsa la difesa del ragazzo secondo cui ha chiunque è consentito attivare un account di posta elettronica recante un nominativo diverso dal proprio, anche di fantasia. A questa affermazione i giudici hanno replicato che «ciò è vero, pacificamente ma deve ritenersi che il punto sia tutt’altro. Infatti la difesa non considera adeguatamente che, consumandosi tale reato con la produzione dell’evento conseguente all’uso dei mezzi indicati nella disposizione incriminatrice, vale a dire con l’induzione di taluno in errore, nel caso in esame il soggetto indotto in errore non tanto l’ente fornitore del servizio di posta elettronica, quanto piuttosto gli utenti della rete, i quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona, in realtà inconsapevolmente si sono trovati inconsapevolmente ad avere a che fare con un’altra». Insomma, concludono i giudici di piazza Cavour, «non è affatto indifferente, per l’interlocutore, che il rapporto descritto nel messaggio sia offerto da un soggetto diverso da quello che appare offrirlo, per di più di sesso diverso».

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